Con la sentenza n. 125 del 19 maggio 2022, la Corte Costituzionale ha dichiarato che ai fini della tutela dell’articolo 18, nel testo modificato dalla riforma Fornero, il giudice non è tenuto ad accertare che l’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento economico sia “manifesta”. Nelle controversie in materia di licenziamenti per giustificato motivo oggettivo si è in presenza di un quadro probatorio articolato che porta ad un “aggravio irragionevole e sproporzionato” sull’andamento del processo: all’indeterminatezza del requisito si affianca una irragionevole complicazione sul fronte processuale. La Corte ha dunque individuato uno squilibrio tra i fini che il legislatore si era prefisso, consistenti in una più equa distribuzione delle tutele, attraverso decisioni più rapide e più facilmente prevedibili, e i mezzi adottati per raggiungerli.

Il Tribunale ordinario di Ravenna, in funzione di giudice del lavoro, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 18, settimo comma, secondo periodo, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), come modificato dall’art. 1, comma 42, lettera b), della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), «nella parte in cui prevede che, in caso di insussistenza del fatto, per disporre la reintegra occorra un quid pluris rappresentato dalla dimostrazione della “manifesta” insussistenza del fatto stesso», posto alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Il rimettente prospetta, in primo luogo, il contrasto con l’art. 3, primo comma, Cost., in ragione dell’arbitraria disparità di trattamento tra il regime applicabile al licenziamento intimato per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa, da un lato, e la disciplina del licenziamento determinato da un giustificato motivo oggettivo, dall’altro lato. La disposizione censurata rimetterebbe alla «scelta totalmente discrezionale» del giudice la determinazione delle tutele spettanti al lavoratore ingiustamente licenziato, senza fornire alcun «criterio serio ed omogeneo, uguale per tutti».
La disposizione è censurata in riferimento all’art. 3, primo comma, Cost., anche sotto un diverso profilo. Con «una regola illogica e irrazionale», essa imporrebbe al lavoratore la dimostrazione di «un fatto negativo […] e dai contorni indefiniti», che rientrerebbe «nella sfera di disponibilità anche probatoria del datore di lavoro».